ELEZIONE DEI PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO |
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SENATO |
CAMERA |
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MARINI FRANCO |
165 |
BERTINOTTI FAUSTO |
337 |
ANDREOTTI GIULIO |
156 |
D'ALEMA MASSIMO |
100 |
Schede Bianche |
1 |
Schede Bianche |
144 |
Schede Nulle |
0 |
Schede Nulle |
0 |
Il Presidente del SENATOSen. Franco Marini Nato a San Pio delle Camere (AQ) il 9 aprile 1933. Coniugato, un figlio. Risiede a Roma. E' laureato in giurisprudenza. Sindacalista. In passato è stato funzionario della Cassa per il Mezzogiorno. Entrato successivamente nella CISL , dopo aver ricoperto varie cariche, è stato eletto Segretario generale dal 1985 al 1991. Ha ricoperto anche l'incarico di Vice presidente della ICFTU (la CISL internazionale). Impegnato nell'Azione Cattolica e nelle ACLI. Segretario organizzativo del partito della Margherita. Incarichi istituzionali ed attività parlamentare Ha fatto parte del VII Governo Andreotti in qualità di Ministro non parlamentare del lavoro e della previdenza sociale. Precedenti consultazioni elettorali Eletto alla Camera per la DC nella Circoscrizione Roma-Viterbo-Latina-Frosinone, nelle consultazioni politiche del 1992, con 116.558 voti. Rieletto nelle consultazioni del 1994, nella lista del Partito Popolare Italiano per il riparto proporzionale del seggi, nella XVII Circoscrizione Abruzzo. Riconfermato nel 1996 con L'Ulivo nel Collegio 11 - Montesilvano, della XVII Circoscrizione Abruzzo, con 39.943 voti - 48,9%. Liste collegate: PPl-SVP-PRI-Unione Democratice-Prodi.
Da l'UNITA' 29.04.2006 FRANCO MARINI Per Franco Marini, dalla Cisl alla seconda carica dello Stato, i giornali hanno ripescato un antico, curioso e inadeguato nomignolo: "Lupo marsicano". Forse per la sua origine: una regione, l'Abruzzo, dove, tra le montagne i lupi si aggirano davvero. Lui, però, più che ad un lupo, dicono gli amici, potrebbe essere paragonato ad una volpe astuta. Un ex dirigente sindacale, certo. Che però, anche quando navigava nelle acque non tranquille della Cisl di Bruno Storti, manifestava un'acuta intelligenza politica, oltre che un'indiscussa capacità organizzativa. Doti brillantemente conservate anche oggi, con gli appena festeggiati 73 anni. La sua è la storia di un cattolico spregiudicatamente laico. Il suo ingresso nella politica, del resto, non è targato Dc. C'è stato, per il giovane avvocato Marini, una premessa, un primo passaggio nel partito socialdemocratico il vecchio Psdi saragatiano. Un passaggio presto abbandonato per far parte, sotto la guida di Carlo Donat Cattin, di "Forze Nuove", la corrente di "sinistra sociale" della Democrazia Cristiana promossa per organizzare, tra gli altri, i sindacalisti cattolici. Il viaggio nel sindacato lo porta, quindi, a stare in mezzo, tra il vecchio segretario tradizionalista Bruno Storti e l'astro nascente e innovatore Pierre Carniti. Tra gli impulsi più democristiani, vicini alla forte componente del pubblico impiego e quelli ispirati al socialismo cristiano, seminati nei settori industriali. È il paziente Marini che alla fine riesce a stabilire proprio con l'irruente Carniti una successione concordata, un patto di ferro, una staffetta. Lui appoggerà il leader dei metalmeccanici per un mandato, come segretario generale. Poi subentrerà a sua volta. E tutto corre su questo solido binario, con una discreta pace interna all'organizzazione. Sono gli anni turbolenti in cui si celebra la notte sindacale di San Valentino, col decreto del governo Craxi che taglia di qualche punto la scala mobile, per combattere l'inflazione. E con la durissima opposizione della maggioranza della Cgil e del Pci. Ripensandoci quello di allora è in sostanza lo scontro, rammenta oggi Antonio Lettieri, un dirigente della Cgil, tra Pierre Carniti, il capo di un partito che non c'era ed Enrico Berlinguer, il capo di un partito che c'era e voleva farsi sentire. Molti, anche nella Cgil, Lama e Trentin compresi, avrebbero voluto intervenire per proporre compromessi, vie d'uscita, ma non ci fu verso. Poco più tardi Pierre Carniti abbandona il sindacato e tocca proprio a Franco Marini il compito di ricucire e aprire la strada del disgelo con la Cgil di Luciano Lama e Ottaviano del Turco. Eppure il cosiddetto "lupo marsicano" non è considerato certo un cuore tenero verso la sinistra, verso i comunisti. Ha spiegato lui stesso "Noi eravamo l'ala più a sinistra del partito, la più vicina al mondo operaio, ma proprio per questo avevamo un rapporto molto competitivo con i comunisti". E così si è espresso Giampaolo Pansa, uno che se ne intende di "Balena Bianca": "Che straordinario paradosso. Marini è stato il segretario della Cisl più anticomunista di tutti, il più viscerale e se verrà eletto alla presidenza del Senato, si ritroverà come collega alla Camera un vero comunista come Fausto Bertinotti". Il quotidiano leghista "La Padania" lo ha definito il "braccio destro, e armato, di Rutelli… un vero mastino, un uomo da combattimento". Ricordando come fosse lui "a controllare le preferenze nel partito, a dirottare i voti sui candidati della Margherita, a svolgere il delicato compito di organizzatore del partito". Ma sono davvero queste le stimmate odierne del candidato alla presidenza del Senato? Certo c'è chi ricorda i suoi dinieghi alle accelerazioni uliviste. È però anche un dirigente che ha il fiuto per saper cambiare. Come dimostrano i suoi passaggi politici fin da quando, con la morte di Donat Cattin, va a capeggiare nel 1991 la corrente Dc di Forze Nuove per poi diventare ministro del Lavoro nell'ultimo governo di Giulio Andreotti. Un ruolo un po' più serio lo ha immaginato, del resto, lo stesso Franco Marini. Un ruolo di mediatore, come quando faceva il sindacalista. Ha detto: "È la prima prova che abbiamo di fronte. O si trova un presidente con un dialogo serio, o sennò neppure l'aiuto di Nostro Signore può consentire al governo di fare le cose necessarie e urgenti che deve affrontare… Ci dobbiamo rilegittimare come forze politiche e come coalizioni. L'Italia deve svoltare, la guerra tra i due schieramenti è sciocca e fa male al Paese". E ancora: "Farò di tutto per aprire una via di dialogo con le forze che rappresentano metà del Paese. Per evitare il blocco, per far funzionare il Senato, è più utile creare un clima in cui ci si contrapponga anche aspramente ma con lealtà, piuttosto che puntellare con qualsiasi mezzo la maggioranza. Lavorerò al disgelo politico". È la sua vera anima. Farà come aveva fatto molti anni fa, lavorando al disgelo sindacale. Ma con propositi che si rifanno meglio a quella sua antica esperienza. Lo si capisce quando affronta un delicato punto programmatico: "C'è una grande questione importantissima oggi del nostro Paese: il lavoro giovanile. Si sta creando in Italia un livello d'occupazione precaria allarmante e nel nostro programma una delle priorità è proprio riportare alla normalità il rapporto fra la flessibilità, che va limitata, e il lavoro a tempo indeterminato". Ottimi propositi. Anche per questo soprattutto il mondo del lavoro oggi non può che essergli vicino
Da l'UNITA' 29.04.2006 29.04.2006 Sono nato 65 anni fa, il 22 marzo del 1940, a Milano. Mio padre era ferroviere e mia madre casalinga. A Sesto ho studiato fino a conseguire il diploma di perito industriale. Poi, la passione per il sindacato prende il sopravvento. Sono entrato nella Cgil oltre 40 anni fa, ho svolto diversi incarichi, da segretario della federazione degli operai tessili di Sesto, a segretario della Camera del Lavoro di Novara. Nel 1975, sono stato eletto segretario regionale della Cgil del Piemonte. Ho vissuto, così, le stagioni più intense del sindacato dei consigli e partecipato ai momenti più alti dell’elaborazione e dell’iniziativa del sindacato di quegli anni. Ho vissuto anche i passaggi più difficili e le vicende più dolorose, segnate, a partire dagli anni 80 dai grandi processi di ristrutturazione, la cassa integrazione, i licenziamenti, a partire dalla FIAT, i 35 giorni di occupazione davanti ai cancelli della fabbrica. Nel 1985, sono stato eletto segretario confederale della CGIL. Sono stati anche quelli anni difficili, l’avvio della politica della concertazione che sanciva la subalternità del sindacato al quadro politico, gli accordi a perdere fino alla cancellazione della scala mobile. Sono stati anni di dura opposizione dentro la CGIL, in nome dell’autonomia del sindacato e del rapporto diretto con i lavoratori, gli anni in cui, dentro il più grande sindacato italiano ha preso visibilità una forte corrente di sinistra, "Essere sindacato", che, in durissimi dibattiti congressuali contro praticamente tutto l’apparato sindacale, riuscì a conquistare una fetta significativa dei consensi degli iscritti. Sono stato sempre impegnato nella politica, militando da sempre nella sinistra. Naturalmente, in nome dell’autonomia del sindacato, non ho rivestito, finché sono stato dirigente della CGIL, incarichi politici diretti. Sono stato socialista di sinistra e militante dello Partito Socialista di Unità Proletaria fino al 1972, quando il partito fu sciolto e aderii al Partito Comunista Italiano. Nel 1994 , ho lasciato il sindacato e sono diventato il segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, incarico che mi è stato confermato in tutti questi anni e ricopro tuttora. Ho vissuto, in questa nuova esperienza politica, momenti esaltanti, ho promosso un processo di innovazione politica e culturale che anche critici assai lontani dalla nostre posizioni hanno valutato tra le più significative dell’intero panorama politico italiano e non solo. In particolare, la nascita del movimento dei movimenti, l’affermarsi sulla scena mondiale di un movimento di contestazione della globalizzazione neoliberista che ha aperto una nuova fase nella possibilità di costruire un nuovo mondo, un mondo più giusto. Da lì anche la nascita di un nuovo pacifismo e la scoperta della nonviolenza come capacità di cogliere la radicalità di una impostazione che rifiuta l’ideologia e la pratica della guerra e del terrorismo e ne costruisce una vera alternativa. Sono stato eletto nel 2004 Presidente del Partito della Sinistra Europea, la nuova soggettività della sinistra di alternativa in Europa |
Il Presidente della CAMERA On. BERTINOTTI Fausto
candidato dell'Unione passa alla quarta votazione con 337 voti Camera, Bertinotti eletto presidente Nel primo discorso ringraziamenti a Ciampi (con un lapsus sul nome) e al predecessore Casini. Un forte richiamo alla Resistenza e l'auspicio di un nuovo rapporto fra cittadini e Stato ROMA - Fausto Bertinotti è stato eletto alla presidenza della Camera alla quarta votazione. Bertinotti è diventato presidente con 337 voti. Ben 144 le schede bianche, mentre curiosamente 100 voti sono andati ancora al presidente dei Ds Massimo D'Alema, che aveva raccolto voti anche nelle prime tre votazioni di venerdì. Dai banchi del centrosinistra il risultato della votazione è stato sottolineato da un lungo applauso. Dopo la proclamazione dell'elezione il presidente provvisorio Mussi ha sospeso brevemente la seduta per andare a riferire il risultato della votazione al neo-eletto presidente. IL DISCORSO DI BERTINOTTI - "Grazie. Dedico l'elezione alla presidenza della Camera alle operaie e agli operai": così Fausto Bertinotti poco prima di entrare in aula per il discorso d'investitura. Subito dopo Bertinotti ha pronunciato il suo discorso d'insediamento. "Ringrazio il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il mio predecessore Pier Ferdinando Casini e le altre cariche isttuzionali. Credo che il prima compito che tocca a tutti noi sia di valorizzare il ruolo del Parlamento. Necessità storica in questi tempi difficili per la democrazia in Italia e in Europa. Bisogna lavorare con attenzione ai corpi e alle amministrazioni da cui dipende la vita dello Stato e cercare di valorizzare le loro autonomie che sono una ricchezza per il paese, dalla magistratura all'informazione per farci sentire cittadini di uno stato di diritto". "Il popolo deve investire - ha affermato Bertinotti - tutta la sua fiducia sulle istituzioni democratiche per essere libero da tutti i gioghi che esistono, a partire dalla mafia perchè sicurezza deve essere intesa nel senso di diritto all'accesso al futuro". "C'è infatti - ha continuato Bertinotti - il rischio di separazione della quotidianità dalla politica. Bisogna ricreare un rapporto positivo tra il paese reale e le istituzioni. Bisogna creare una nuova frontiera di giustizia sociale per i cittadini, dar loro una sicurezza per il loro futuro. Le istituzioni sono vitali se cresce con essa la società civile". RESISTENZA - Poi Bertinotti ha affrontato il passaggio più delicato del suo discorso. "Il 25 aprile è una data all'origine della nostra Repubblica. Vorrei che questa assemblea potesse idealmente svolgersi a Marzabotto e quella collina annegata nel verde in cui si ricorda l'orrore: anche lì è nata la nostra Costituzione a la nostra irriducibile scelta di pace, la nostra irriducibile scelta di lotta contro la guerra e il terrorismo. Vorrei che facessimo insieme un pellegrinaggio nei luoghi dove sono morti i partigiani, quello che Calamendrei indicava ai giovani. In quei luoghi c'è l'origine della nostra Repubblica, e dobbiamo trovare nelle radici la forza per progettare il futuro dell'Italia, dell'Europa e del mondo", passaggio che ha visto forti asppalusi del centrosinistra e silenzio da parte del centrodestra. Alla fine del discorso però Bertinotti ha ricevuto un lungo applauso da parte di tutta l'Aula. Il leader di Rifondazione Comunista e neopresidente della Camera Fausto Bertinotti (a destra) a colloquio con il presidente dei Ds Massimo D'Alema (Ansa) Oggi è cambiata la situazione perchè dal quarto scrutinio valeva la maggioranza assoluta e non quella qualificata dei due terzi. Un quorum che l'Unione, con 348 deputati, non avrebbe potuto raggiungere. Di conseguenza l'elezione di Bertinotti in una delle prime tre votazioni non era certo prevista. Inoltre i deputati della Rosa nel pugno, per protestare contro la mancata assegnazione di senatori (che invece la Rnp riteneva di dover avere) avevano annunciato di non partecipare alle prime tre votazioni. Curiosità: nel secondo e terzo scrutinio di ieri sono cresciuti i voti di Massimo D'Alema: da 13 a 51 e poi 70. 29 aprile 2006
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